Omaggio al compositore Claudio Ambrosini – Micromega

Claudio Ambrosini
(Venezia, 1948). Liceo classico, Conservatorio di Venezia, lauree in Lingue Straniere (Milano) e in Storia della Musica (Venezia). Frequenti gli incontri con Bruno Maderna e Luigi Nono, che lo annoverava tra i suoi compositori preferiti.
Ha composto lavori vocali, strumentali, elettronici, sinfonici, opere liriche, radiofoniche, oratori e balletti commissionati da enti come la RAI, La Biennale di Venezia, la WDR Köln, il Ministero della Cultura francese, il Teatro La Fenice, il Teatro San Carlo, il Festival delle Nazioni, Milano Musica, Grame ed eseguiti internazionalmente.
Le sue musiche sono state dirette, tra gli altri, da Luisi, Muti, Masson, Reck, Spanjaard, Störgards, Valade nei programmi dell’IRCAM di Parigi, della Scala di Milano, delle Fondazioni Gulbenkian di Lisbona e Gaudeamus di Amsterdam, del Mozarteum di Salzburg, della Akademie der Künste di Berlino; della Carnegie Hall di New York, di “Perspectives du XX siècle” di Radio France, all’Autunno Musicale di Varsavia…
Dal 1977 si è interessato di computer music. Nel 1979 ha fondato l’Ex novo Ensemble, nel 1983 il CIRS, Centro Internazionale per la Ricerca Strumentale, nel 2007 l’Ensemble Vox Secreta.
Ha tenuto corsi, conferenze e masterclass in vari conservatori e università, tra cui la Sorbona di Parigi e la Scuola Normale di Pisa.
Nel 1985 ha avuto il Prix de Rome (primo musicista non francese a soggiornare a Villa Medici, l’Accademia di Francia a Roma). Nel 1986 ha rappresentato l’Italia alla Tribuna Internazionale dei Compositori dell’UNESCO.
Premi recenti:
2006: Association Beaumarchais (Parigi) e 2008: Music Theatre Now Prize (Berlino) per il libretto e la musica dell’opera Il canto della pelle – Sex Unlimited
2007 Leone d’Oro per la Musica del Presente della Biennale di Venezia.
2009: Rotary International Award
2010: Premio della Critica Italiana (XXX Premio Abbiati, Migliore Novità) per il libretto e la musica dell’opera Il killer di parole.
2015 Premio Play.It! per l’insieme del suo lavoro.
FEDERICA LOTTI
Sensibile interprete di un vasto repertorio, è nata ad Arezzo, città degli affreschi di Piero della Francesca che colpirono profondamente la sua fantasia fin da piccola.
Ha cominciato lo studio della musica a 9 anni, incontrando poi a 11 il flauto, avendo come primo Maestro Roberto Fabbriciani in una piccola scuola comunale della sua città, e diplomandosi in soli cinque anni presso il Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze. Questa particolare situazione ha favorito la consuetudine all’ascolto della musica contemporanea, stimolando in lei fin dai primi periodi di studio l’interesse per i nuovi repertori e le nuove tecniche.
In quanto allieva di Fabbriciani appartiene alla V generazione flautistica di discendenza da Giulio Briccialdi, grande virtuoso ottocentesco.
Già prima di conseguire il Diploma, come privatista, e la Maturità classica nel Liceo della sua città, ha iniziato una brillante attività concertistica.
In seguito si è perfezionata con Severino Gazzelloni all’Accademia Musicale Chigiana di Siena, ottenendo diploma di merito e borsa di studio, con Conrad Klemm all’Accademia Musicale Tifernate di Città di Castello e all’Accademia di S. Cecilia di Roma (per la Alexander Technique), con Alain Marion all’Académie Internationale d’été di Nizza, con Pierre-Yves Artaud all’ IRCAM di Parigi e ai Ferienkurse di Darmstadt.
Di particolare importanza l’ esperienza maturata attraverso un anno di lavoro con il violinista e compositore fiorentino Bruno Bartolozzi, il pioniere dei “Nuovi suoni” per i legni.
È stata fra i vincitori di numerosi concorsi (Cesena, Stresa, Briccialdi di Terni).
Come solista ha suonato con orchestre italiane e straniere (RAI di Roma, Orchestra di Lublino in Polonia, Galuppi di Venezia, Teatro di Lucca, Filarmonica di Udine, Filarmonica di Bacau e quella di Arad in Romania, di Shinagawa-Tokyo in Giappone, HK Symphonia di Hong Kong).
Ha partecipato ad importanti rassegne (Biennale Musica di Venezia, Biennale di Zagabria, Venezia Opera prima, Autunno Musicale di Como, Festival dell’Accademia Barocca di Roma, Festival Pontino, Biennale di Capodistria) ed ha suonato in sale prestigiose quali il Piccolo Regio di Torino, le Sale Apollinee del Teatro La Fenice e per la Fondazione Cini di Venezia, il Teatro Olimpico di Vicenza, il Conservatorio di Strasburgo, il Centre Pompidou di Parigi, la Wiener Saal del Mozarteum di Salisburgo, la Sala Grande dell’Accademia Chopin di Varsavia, la Recital Hall del College of Music dell’Università del North Texas, la Linhart Hall di Lubiana, la Hiratsuka Hall di Tokyo, la Sha Tin Hall e la City Hall di Hong Kong, University Hall delle Università cinesi di Zhengzhou e Kaifeng.
Ha effettuato concerti e tournée in Spagna, Francia, Olanda, Turchia, Croazia, Romania, Polonia, Malta, Texas (USA), Giappone, Hong Kong e Cina, oltre che registrato trasmissioni televisive e radiofoniche per il 1°canale RAI, Radio Capodistria, Radio Tirolo.
Ha inciso per Edipan, Tau Kay, Curci, Brilliant, ed è attualmente impegnata nell’incisione di due cd (per flauto solo e con chitarra, entrambi su repertorio italiano contemporaneo).
Dalla Firenze di Dallapiccola (dopo esperienze didattiche iniziate nel 1979 nei Conservatori di Pesaro prima e Castelfranco Veneto poi) è arrivata nella Venezia di Maderna e Nono come docente del Conservatorio Benedetto Marcello nel 1998, ricoprendo diversi ruoli istituzionali, diplomando numerosissimi allievi di nazionalità diverse, e organizzando numerosi progetti, spesso in collaborazione con le più importanti realtà culturali della città. Tra questi, gli incontri con personalità quali Betsy Jolas, Claudio Ambrosini, Agostino Di Scipio, Christine Jolivet Erlih, Giacomo Manzoni, Fabio Vacchi. Il suo prossimo progetto sarà su Franco Donatoni.
Tiene regolarmente corsi estivi di perfezionamento (Oropa, Monte S. Savino, Cortina, Pola, Cava de’ Tirreni, Ischia); suoi allievi si sono affermati in vari concorsi nazionali e svolgono regolare attività didattica e concertistica.
E’ invitata a far parte di giurie di concorsi nazionali ed internazionali (Stresa, Castello di Belveglio, Krakamp, Flautistra a Capodistria, Flauta Aurea a Zagabria).
Fra i suoi interessi, la musica cameristica con un repertorio a torto meno frequentato, da eseguirsi con organici particolari.
Sensibile alle nuove tecniche, si dedica anche al repertorio contemporaneo usando tutti gli strumenti della famiglia del flauto (dal basso all’ottavino) e la voce, collaborando con numerosi compositori che hanno scritto pezzi dedicati a lei, fra i quali Ambrosini, Anzaghi, Ballio, Bo, Flores Abad, Mirigliano, Montalbetti, Samorì, Sammarchi, Pasquotti, Perocco, Tao Yu, Toffolini, Ugoletti, Zambon.
Nel 1999 è stata fra i promotori delle iniziative per celebrare a Vittorio Veneto e Venezia 250 anni dalla nascita di Lorenzo Da Ponte, personaggio da cui è stata fortemente attratta soprattutto da quando abita a Ceneda, la parte sud di Vittorio Veneto dove il grande librettista nacque.
È stata invitata dal Laboratorio di Acustica del CNR presso la Fondazione G. Cini di Venezia a tenere un seminario sugli strumenti a fiato, e sempre per la stessa Istituzione – con cui spesso collabora in occasione di presentazioni di libri e convegni – ha recentemente ascolto un workshop su autori dell’Archivio Cini.
Altri inviti ricevuti dall’Accademia musicale “Dokuz Eylul” di Smirne, dall’Accademia Chopin di Varsavia, dal College of Music dell’Università del North Texas, dall’Accademia di Musica di Zagabria e da quella di Lubiana, dalla Kunst Universität di Graz, dalla Scuola di Musica di Capodistria, dal Conservatorio Superior de Mùsica di Salamanca, dal Pôle Supérieur di Rennes, da Università di Taiwan e Cina, oltre che da numerosi conservatori italiani per masterclasses e lectures in particolare sul repertorio italiano contemporaneo.
Con il KTH (Istituto Reale di Tecnologia) di Stoccolma ha partecipato ad esperimenti di Psicoacustica e sull’utilizzo del “motion capture” e di “Nebula”, mantello sonoro dotato di sensori metallici che producono suoni attraverso il movimento dell’esecutore.
Mette la sua creatività musicale al servizio di temi a carattere etico (dialogo interculturale ed interreligioso, ambientalismo) e di impegno civile.
Nel giorno del 70 compleanno di Salvatore Sciarrino, 4 aprile 2017, è stata invitata dal Conservatorio di Mantova ad eseguire alcuni brani dell’importante compositore italiano.
Insieme a suoi studenti del Conservatorio di Venezia partecipa alle esecuzioni programmate di pezzi con 100 flauti, sempre di Sciarrino.
Durante la 50 edizione del Festival delle Nazioni di Città di Castello, nel settembre 2017, è stato presentato in prima esecuzione assoluta, in coproduzione con AGON di Milano, un suo progetto su Hildegard von Bingen per voce recitante, soprano, flauti/voce ed elettronica, su testi di Guido Barbieri e musica di Francesco Maria Paradiso.
Insieme al musicologo Antonio Trudu ha appena terminato la traduzione di un libro di Martine Cadieu su Luigi Nono, che è stato presentato alla seconda edizione del Festival Nono alla Giudecca a Venezia.
VIAGGIARE NEL SUONO,
A guisa di un arcier presto soriano
Il primo pezzo per flauto solo scritto da Claudio Ambrosini (Venezia 1948) risale al 1981.
Si tratta di “A guisa d’un arcier presto soriano”, liberamente ispirato al Sonetto XXI del poeta stilnovista Guido Cavalcanti, breve testo poetico in cui il dio Amore è paragonato ad un infallibile arciere siriano (tale provenienza era sinonimo di ferocia e precisione) che parimenti alla morte dà sofferenze e martirio a chi viene da lui trafitto.
Il riferimento a questo primo brano è secondo me d’obbligo per meglio capire ed orientarsi nella decifrazione dei segni e soprattutto per entrare in un mondo compositivo così particolare ed originale come quello del compositore veneziano.
Il periodo degli anni a cavallo fra il ’70 e i primi anni ‘80 vede Ambrosini profondamente impegnato e teso a conoscere nel modo più capillare ed estremo possibile le potenzialità degli strumenti che di volta in volta si trova a voler indagare. Non è certo a caso infatti che fonda il CIRS (Centro Italiano di Ricerca Strumentale) quasi a voler stabilire anche ufficialmente l’orientamento del suo pensiero e della sua curiosità, sia intellettuale che creativa, nel grande mondo dei suoni e della musica.
Il riferimento ad un testo poetico è già da allora sintomatico di un’impostazione intuitiva che potremmo definire di tipo umanistico. Si ricercano suggestioni e riferimenti che si identifichino con lo scaturire dell’ispirazione, in simbiosi tra stati d’animo e costruzione di nuovi suoni, secondo forme libere ma riconoscibili. Per ispirazione pensiamo a quella comunemente intesa – lo stato di grazia, l’idea che all’improvviso arriva e accende, sì, anche questo – un po’ trascurata e quasi rinnegata con sufficienza da certo pensiero moderno dedito maggiormente all’attuazione di formule e a tecnicismi o a una contestualizzazione meno esplicita e più astratta.
Senza nulla togliere alle “strutture” deve essere chiaro che qui il vocabolario ha altre basi, il linguaggio scaturisce da una ricerca sonora personale speciale, che spesso crea anche l’immediato problema pratico di una grafia efficace, a guida di un esecutore che per la prima volta si trovasse a cercare e trovare quei particolari suoni richiesti. In molti casi, infatti, si tratta di un modo davvero diverso e inconsueto di utilizzare gli strumenti. Questa è un’altra caratteristica del modus operandi di Ambrosini: le scelte compositive sono frutto di una strettissima collaborazione con gli strumentisti e di “esperimenti” provati in prima persona dal compositore stesso, che dopo una serie puntigliosa di tentativi diversi li propone per una verifica a chi poi dovrà realmente suonare. Questa modalità coincide quindi con una eseguibilità vera e non presunta o ipotetica del brano, chiarita nei minimi dettagli da diteggiature o emissioni particolari. Spesso nella partitura troviamo anche indicazioni di tipo descrittivo, vòlte a stimolare la ricerca di un’immagine emotiva che si traduca in suono.
I colpi inesorabili e senza scampo delle frecciate amorose, l’evanescenza del ricordo, la concitazione spasmodica dell’attesa dell’incontro: nei suoi 6 minuti di durata il brano suggerisce questo vissuto – intensamente, fantasticamente – ma senza banalizzarne la portata musicale possiamo senz’altro affermare che il flauto viene utilizzato secondo le sue proprie peculiarità emotivo/sonore in un modo originale ed interessante. Diverso, davvero nuovo.
A proposito del Sonetto di Cavalcanti…
A guisa di un arcier presto soriano
È certamente uno dei sonetti più unitari di Guido Cavalcanti. I versi procedono sospesi in una dimensione senza spazio. Le figure che si muovono in questa scena hanno il pallore che è proprio delle fantasie dolorose di Guido. Tuttavia è possibile derivare dal sonetto una vicenda, sviluppare dai versi quasi una storia. Il poeta era insieme alla donna; ed ecco, la sua voce divenuta fioca, timorosa, ha dovuto porre fine al colloquio, fuggire.
Ora egli spiega la ragione dello sbigottimento, della fuga:
O donna mia, non ti accorgesti di colui che mi teneva la mano sul cuore, quando presi a risponder con voce sussurrata? Era l’Amore, che arrivava da lontano, e incontrandomi in tua compagnia mi si fermò vicino; ed aveva l’aspetto di un arciere veloce di Siria, intento solo ad uccidere. Per questo, per la paura che egli mi colpisse, ti rispondevo sottovoce. Ma l’arciere saettò forte nel cuore, ed io mi allontanai sbigottito. Allora mi apparve innanzi la Morte, col corteggio infinito dei martiri, del pianto.
Amore e Morte dunque, inseparabili nelle rime più alte di Guido, così come lo saranno nei versi di un poeta grandissimo dell’Ottocento, Ugo Foscolo. Il motivo dell’innamoramento, ricorrente più volte nelle rime del poeta; trasfigurato del tutto in una vicenda fantastica, nell’immagine misteriosa di una mano, in una voce fioca. Considerare anche alcune immagini e concetti (come l’arco, l’arciere, lo sgomento, la personificazione dell’Amore e il soffrire) ripresi poi dalla poesia del Petrarca.
XXI –
O donna mia, non vedestù colui
che ‘n su lo core mi tenea la mano
quando ti respondea fiochetto e piano
per la temenza de li colpi sui?
Ei fu Amore, che, trovando noi,
meco ristette, che venia lontano,
in guisa d’arcier presto sorïano
acconcio sol per uccider altrui.
E’ trasse poi de li occhi tuo’ sospiri,
i qua’ me saettò nel cor sì forte,
ch’i’ mi partì sbigottito fuggendo.
Allor m’apparve di sicur la Morte,
acompagnata di quelli martiri
che soglion consumare altru’ piangendo.
Classifying the Thousand shortest Sounds in the World
Dopo la prima esperienza – e poco più di trent’anni di vita compositiva densa e fertilissima – Ambrosini nel 2012 torna a scrivere un altro pezzo per flauto solo, dal titolo estroso anche stavolta, Classifying the Thousand shortest Sounds in the World, e potrebbe trarre in inganno, come se davvero si trattasse di catalogare i mille suoni più corti del mondo.
La scelta del compositore allude ad un’importante opera del ’77 sotto forma di libro dell’artista concettuale Alighiero Boetti, Classifying the Thousand longest Rivers in the World, che con intento provocatorio e dissacrante (niente di più lontano dalla geografia e da una tradizionale opera di catalogazione!) classifica i nomi dei mille fiumi più lunghi del mondo dimostrando allo stesso tempo l’illusorietà dell’impresa. I mille modi che l’uomo può escogitare per tentare di ordinare il caos attraggono Boetti per l’ingegnosità ma al tempo stesso lo persuadono di una fallacia fatale.
Ambrosini da sempre indaga i rapporti fra musica e arte contemporanea, a partire da lavori come Nell’orecchio di Van Gogh, una pulce(del 1983) fino al recentissimo Pictures at Another Exhibition. All’interno di questa vasta produzione, l’indagine sulla percezione, in particolare sulla velocità di scorrimento dei suoni, rappresenta uno dei tratti fondamentali.
Nel nostro pezzo i “mille” suoni usati e proposti sono realmente moltissimi. Ne nasce un tessuto cangiante, che avvolge l’ascolto in una forma insieme inafferrabile ed espressiva: molteplici modalità d’attacco, sonorità al limite dell’udibile o fragorose, delicate e magiche, percussive, fischiate, intrecciate alla voce e mimetizzate in consonanti e sillabe.
Il virtuosismo esecutivo richiesto è stupefacente, per la duttilità da trasformista che l’interprete deve dimostrare, in funambolica velocità. Il linguaggio sonoro è originale, con tratti riconoscibili dell’estetica di Ambrosini, capace di creare tensione, mistero, attesa, senza che manchino ironia e leggerezza.
Ecco cosa preannunciano le parole di presentazione dello stesso compositore in occasione della Prima esecuzione assoluta alla Biennale Musica di Venezia il 9 ottobre 2012: «l’aspetto della velocità è una delle questioni principali in musica, sia nel suo risvolto più platealmente acrobatico, sia in quello più sostanziale, che non riguarda solo l’idea di limite – da riaggiornare e cercar di superare, sempre – ma che finisce per allargare il campo delle relazioni “indotte” fino a proiettarsi dal piano della produzione dei suoni a quello del loro ascolto». Qui la velocità è dunque trattata sotto diverse prospettive: virtuosismo dell’esecuzione e dell’ascolto, ma anche rapporto tra suoni e modalità di emissione e dimensione percettiva che non può essere assoluta ma soltanto relativa a una lentezza.
E poi, la velocità della successione con cui gli eventi sonori vengono creati: cosa realmente viene focalizzato, riconosciuto, fatto emergere nel fluido magma di note, altezze, soffi, percussioni, glissati, grida soffocate e fischi? Ognuno di essi contiene un mondo di altre possibilità, direzioni, sviluppi…quasi un peccato che la velocità di esecuzione spesso sfiori soltanto, e fugacemente, un suono per sua natura plurimo di conseguenze.
Risiede forse in questa estrema ricchezza e densità (di un mai finito, di un mai definitivamente percepito – dalla genesi allo scomparire di ogni suono per esser subito sostituito dal successivo – o di una sfida “generativa” tanto del compositore che dell’interprete) un’ammissione nascosta della difficoltà/impossibilità/fallacità di dominare la materia che, viva di vita propria, può sgusciar via dalle mani del suo stesso creatore/esecutore? Come rincorrere la coda di un suono ed esplorarne la parabola dissolvente? Come un lungo fiume che attraverso anse capricciose invisibili alle misurazioni cambi fatalmente la reale lunghezza del suo corso?
La struttura formale del brano è tale che ad una attenta lettura si può comprendere in modo chiaro che niente è lasciato al caso, che la costruzione ha presupposti solidi e l’inventiva è sempre ben dominata, una volta che ha prodotto l’idea generatrice. I “ritorni” motivici, pur in forma di frammento ma riconoscibili anche uditivamente, sono sempre calibrati con sapienza per dare a ogni evocazione un suo spessore, una sua dimensione, una sua connotazione o contestualizzazione, creando i collegamenti fra le varie sezioni.
Dunque, produzione dei suoni e loro ascolto. La percezione uditiva e la capacità di ascolto, vissuta così anche da parte del pubblico, diventano quasi protagoniste secondarie della performance flautistica. Il coinvolgimento dell’audience, l’aver pensato anche a questo aspetto, pone Ambrosini nel novero dei ricercatori che amano essere in compagnia di una “propria” ciurma, prora al vento, attiva e possibilmente partecipe. Non c’è quindi compiacimento con strizzatine d’occhio: piuttosto, si tende la mano proponendo un viaggio per l’alto mare.
Per viaggiare nel suono.
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Pasiphae, l’istante
Questo terzo brano segue di pochi mesi Classifying, ed è costruito secondo materiali simili.
Mentre nell’altro pezzo l’intenzione compositiva si orienta nella direzione di acuire al massimo la ricerca psicoacustica, mettendo a prova la capacità percettiva possibile immersa nel vortice di una deflagrante velocità, con Pasiphae, l’istante si evoca piuttosto un mondo emotivo ed espressivo più evidente e profondo, pur ricchissimo di sfaccettature sonore caleidoscopiche che montano e si stratificano gradualmente per culminare nel climax finale, sciolto poi in un ansimare lamentoso che ritorna al silenzio, come a chiudere il cerchio dell’avventuroso percorso offerto.
Il titolo si ispira alla complessa e conturbante personalità della regina di Creta, Pasiphae, e della sua attrazione fatale per il bellissimo toro bianco, come il mito ci narra.
Un ideale rimando ad un’altra importante composizione di Ambrosini, che si rifà a due ulteriori protagonisti della saga minoica: Dedalo/Icaro per violino del 1981/82, elaborato poi nel 2016 in versione amplificata e spazializzata.
Tutti e tre questi personaggi uniti dal desiderio/destino di compiere imprese acrobatiche, difficilissime. “Impossibili”.
Ci si può così imbattere in un aspetto caratteristico dell’estetica del nostro compositore: lo sguardo verso il passato e la conoscenza della storia lontana o mitica proiettati verso un presente che li rilegge, rendendoli attuali e diversamente affascinanti.
Federica Lotti