Il futuro della musica è ancora il Novecento

la Repubblica - 14 ottobre 2012

Il futuro della musica è ancora il Novecento

Oltre 60 prima in una settimana nel festival curato da Ivan fedele, aperto da Pierre Boulez e chiuso da Anthony Braxton. Conferme delusioni

di Angelo Foletto

“Con oltre 60 prima in una settimana, era difficile che il fitto programma della biennale musica viva fedele potesse soddisfare tutti. Ma I segnali musicali scaturiti dal torrenziale palinsesto di “Extreme”, compendiato dei nomi di Pierre Boulez (Leone d’oro alla carriera nella toccante serata inaugurale), hanno dato ragione anche alle scelte che, in esecuzione, hanno deluso, come il programma dedicato alla giovane ingenuo avanguardia russa (Nikolai Popov, Kirill Shirokov, Alexander Khubeev e Yotam Haber). Ha vinto, e convinto, l’idea di fare un censimento-campionario delle molteplici possibilità della modernità musicale non di consumo, racchiusa per comodità nel dualismo stilistico massimalismo-minimalismo. Senza (pre)giudizi storici o critici.
Anche se non c’erano dubbi ascoltando l’ipnotico Piano, Violin, viola, Cello (1987) l’ultimo lavoro scritto da Morton Feldman, in edito per l’Italia e valorosamente suonato dal Quartetto Klimt, I am sitting in a room (1970) eseguito con ieratica e sorniona presenza dall’ultra ottantenne autore Alvin Lucier oh lo storico In C di Terry Riley (1964), vitalissimo tranciante nella realizzazione dell’inedito gruppo strumentale che univa i due migliori complessi italiani (Alter Ego Ensemble e Ex Novo Ensemble), che l’audacia visionaria radicalmente affrancata dei sistemi compositivi ordinari del Novecento di questi emblematici (capo)lavori è insuperata.
Tant’è che nonostante la cura strumentale dell’alter ego, il resto della giornata americana (musiche di Perich, Friar e Mario Diaz de Leon) aveva interesse solo per gli altri pezzi di Lucier. E il recital-performance del percussionista Simone Beneventi, chiuso in una sorta di gabbia installazione con lo suo armamentario, s’inarcava con un ricostruito Golfi d’ombra di Romitelli e Dufourt più che con gli esercizi di stile di Trevisi, Grimaldi e Agostini. Non diversamente, della serata con orchestra rimaneva il ricordo del solista al bayan Germano Scurti, protagonista di Fachwerk di Sofia Gubaidulina, pezzo recente che intreccia anima cupa e scienza, seppur con gesti più contorti e caotici del solito, piuttosto che gli inoffensivi brani di Bettina Scrypczak e José Luis Campana, mentre la pochezza della FVG Mitteleuropa Orchestra ha invalidato l’occasione per meditare su Concert for piano (1957) di Cage.
La bravura dei musicisti-interpreti italiani è stata giustamente celebrata alla Biennale, che ha assegnato il Leone d’Argento al Quartetto Prometeo, protagonista del primo programma cameristico e quindi frazionato in altre formazioni.
Bellissimo, dopo quello di Mario Caroli, il recital di Federica Lotti, flauti e voce. Da sola (nel sottile e inedito Classifying the thousand shortes sounds in the world di Claudio Ambrosini) E con l’interazione fantasiosa del live electronics di Alvise Vidolin ha sostenuto un programma esemplare, dando suono e teatro all’ambizioso e forte Alle tacenti stelle di Luigi Sammarchi e al postfuturismo di Per la meccanica dei flauti di Agostino Di Scipio. Nella stessa sala del Conservatorio, il giorno prima Luca Richelli e Marco Gasperini, talentuosi discepoli di Vidolin, hanno proposto una voluttuosa rivisitazione di Imaginary Landscape n. 5 e, con la tastiera di Marija Jovanovic, di HPSCHD di Cage.”

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