Se la musica flautista diventa ultra-free…
il manifesto - 12 ottobre 2012

BIENNALE MUSICA – La virtuosa Federica Lotti
Se la musica flautista diventa ultra-free…
di Mario Gamba
Venezia
“Ci salverà Federica Lotti dagli effetti nefasti delle miserie festivaliere? Un ottimo ricostituente ce lo dà di sicuro. Contro il mortifero e il banale della Biennale Musica 2012, che purtroppo non manca di opprimere, assorbiamo dosi forti dell’arte di una flautista vitalissima e delle musiche che ci offre. Virtuosa del suo strumento e della voce, che tira fuori chissà da dove ed usa in modo incantevole. Performer arguta morbida ed esperta. Sexy innegabilmente sulla pedana della Sala Concerti del Conservatorio. Suona con tutto il corpo e questa è proprio una gioia. Sceglie bene i titoli del suo récital.
Il pezzo di Luigi Sammarchi, per esempio. Fascinosissimo. In prima esecuzione assoluta, e così una volta tanto anche il grande vuoto delle Biennali Musica, le novità di rilievo (non le solite casette di giovani scolari), è in parte colmato. Dapprima suoni tenui aspirati dello strumento in Alle talenti stelle – Ipazia. La voce di Lotti quando entra, con sussurri, è eroticissima. Si assiste a un vero convegno amoroso sonoro (non platonico). Più avanti la musica flautistica diventa ultra-free, e l’elettronica naviga accanto, liquida, spaziale. Poi, anche lirismo senza nostalgie. Gran livello anche di Classifying the Thousand Shortest Sounds in the World per flauto solo, senza suoni sintetici, di Claudio Ambrosini, uno dei grandi maestri in cartellone. Anche questo è un lavoro totalmente nuovo. Lotti soffia nel flauto e zufola, si ascoltano suoni secchi puntati alternati a volute capricciose. Risale al 2000 il pezzo di Agostino Di Scipio Per la meccanica dei flauti. Con elettronica. Lo strumento è suonato in percussione sui tasti, dal nastro arrivano suoni «animali» assai attraenti. L’andamento è piacevolmente «nevrotico».
Ci salvano, dalle maniere, dalle noie, anche John Cage e il suo profeta nell’occasione, il violinista Irvine Arditti. Tutti i quattro libri dei Freeman Etudes, scritti tra il 1977 e il 1990. Un sfida infernale. Cage voleva realizzare l’utopia di far eseguire una musica ineseguibile. Non ci riuscì con Paul Zukofsky, un virtuoso bravissimo. Scrisse solo due libri di Studi che rimasero lì. Arrivò Arditti, li suonò con una certa disinvoltura, nonostante le difficoltà mostruose. E Cage scrisse altri due libri. Novantacinque minuti senza interruzionedente e concentrato, impegnatissimo e scioltissimo alla Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian.
L’inventiva di Cage è stupefacente in questo ciclo di musiche che sposano appieno il piacere sempre nuovo dell’avanguardia, di quella cosa, cioè, che il recente revisionismo musicale ha messo all’indice. Suoni aguzzi, suoni traslucidi, suoni iperuranici. Sottilissimi fili di suono spezzati, altri suoni in rapporto tra loro di vera melodia. L’idea dell’informale si accoppia con l’idea di una composizione studiata al millesimo, costruita, organizzata. Nel mezzo dell’esaltazione di una scommessa sul possibile e vitale e divertente, persino, dell’umano contro l’impossibile tecnico.”